In difesa del Welfare State
Caffè, Federico
1986
Rosenberg & Sellier
111 pp.; 21 cm.
Raccolta di scritti
diritto ed economia economia internazionale economia keynesiana intervento pubblico Welfare state
: Indice : Introduzione, p.7; 1. 'La fine del welfare state come riedizione del crollismo', p.13; 2.'Il neoliberismo contemporaneo e l'eredità intellettuale di Francesco Ferrara', p.25; 3.'Intervento pubblico e realtà economica', p.39; 4. 'La problematica degli elevati tassi di interesse 'reali'', p.55; 5.'Il tempo dell'economia "usuraia"', p.67; 6. 'Vecchio e nuovo protezionismo nel quadro del conflitto tra gli strumenti della politica economica', p.77; 7. 'Diritto ed economia : un difficile incontro', p.95; 8.'L'eredità intellettuale keynesiana e gli odierni problemi mondiali', p.95 I saggi sono stati pubblicati originariamente: 'La fine del welfare state come riedizione del crollismo', in: 'Scritti in onore di Innocenzo Gasparini', 1982, alle pp. 173-185 ; 'Il neoliberismo contemporaneo e l'eredità intellettuale di Francesco Ferrara', in: 'Rivista internazionale di scienze economiche e commerciali', Vol.32, n.1, 1985, pp.51-61 ; 'Intervento pubblico e realtà economica', in: 'Rassegna economica', n.3, 1984, pp.557-553 ; 'La problematica degli elevati tassi di interessen"reali"', in 'Politica ed economia', n.2 1983, pp. 49-53 'Il tempo dell'economia usuraia', in: 'La Comunità internazionale', Quarto trimestre, 1984, pp.551-555 pp. ; 'Vecchio e nuovo protezionismo nel quadro del conflitto tra gli strumenti della politica economica', in: 'Moneta ed economia internazionale', 1985, pp.121-126 ; 'Diritto ed economia: un difficile incontro', in 'Giurisprudenza Commerciale. Società e fallimento', parte prima, genn.-febb. 1982, pp. 5-12 Si riproduce il testo della densa e meditata Introduzione, come una matura sintesi del pensiero economico, sociale e civile di F.Caffè: 1. L'insistere su una politica economica che non escluda, tra gli strumenti da essa utilizzabili, i controlli condizionatori delle scelte individuali; che consideri irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza che si riassumono abitualmente nell'espressione dello Stato garante del benessere sociale; che affidi all'intervento pubblico una funzione fondamentale nella condotta economica; può dare l'impressione di qualcosa di datato e di una inclinazione al ripetitivo e al predicatorio, tollerabile per sopportazione più che per convincimento. Tuttavia, non è improbabile che questi punti fermi di una concezione economico-sociale progressista, anche se oggi sembrino essere eco sbiadita di un pensiero attardato, si ripresentino - in realtà si stiano ripresentando - sotto aspetti diversi: come critica ad un profitto considerato avulso da preoccupazioni di indole sociale; come attività di volontariato ispirata da un'etica radicata nei valori della trascendenza; come rifiuto di un individualismo spinto a tal punto da perdere ogni contatto con una economia al servizio dell'uomo. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che, quando questa mutazione si realizzasse (come tutto sembra indicare) non sarebbero certo le differenze nelle ispirazioni di fondo a impedirmi di ritenermene appagato. Le condizioni di chi è privo di lavoro, di assistenza, di prospettive di elevarsi sono troppo gravi per poter astenersi dal riconoscimento dovuto a chi si faccia carico dei loro problemi, anche se secondo linee di pensiero che siano diverse da quelle dei principi ispiratori del riformismo laico. Ma questo avrà indubbiamente perduto un'occasione; il che del resto non gli è inconsueto. Nella misura in cui le considerazioni che precedono abbiano un minimo di validità, le pagine di questi saggi potranno indicare che, con le limitate capacità telescopiche della nostra professione, la fedeltà ai punti fermi risulta in definitiva più affidabile dell'indulgere alle mode. 2. I termini adoperati richiedono immediate precisazioni. Né la irrinunciabilità ad alcuni punti fermi è da intendere come una acritica espressione di una ortodossia; né l'inclinazione alle mode contiene una valutazione riduttiva della loro funzione nello svolgimento del pensiero economico. Cominciando da questo secondo aspetto, ho sempre conservata viva memoria di un'osservazione, apparentemente ironica nel tono ma formativa nella sostanza, con la quale Dennis H.Robertson rilevava che si concorre al progresso della scienza anche con il tempo dedicato all'esame degli effetti di innumerevoli tangenti e intersezioni. Quello che egli annotava, con riferimento alla letteratura sulla concorrenza imperfetta e più in generale delle forme di mercato, in gran voga negli anni trenta, potrebbe oggi ripetersi per l'uso intenso di indagini di tipo quantitativo, sia che esse mirino a verificare un'ipotesi di partenza, sia che talvolta riproducano, consapevolmente o meno, la tendenza ben nota a una misurazione senza teoria. Non vi è nulla da obiettare all'indirizzo prescelto per le proprie indagini, quando questo non diventi un letto di Procuste cui assoggettare gli altri, un criterio valutativo discriminante dell'altrui lavoro scientifico. Riferito a coloro la cui giornata sia giunta a sera, l'addebito di non aver avvalorato le proprie affermazioni - o prediche - con adeguate analisi, presumibilmente di tipo quantitativo, induce a replicare che si possono affermare cose sensate con plausibili ragionamenti di logica intuitiva, mentre si possono avvalorare politiche immobilistiche con sofisticati calcoli di propensioni ed indici di ogni natura. Questo vale per alcune mie critiche al vincolo esterno del nostro paese che non ritengo essere meramente predicatorie, per il solo fatto di non essere inquadrate in contro-analisi che, quanto più pretendano di essere onniconprensive, tanto più non possono che fornire una rappresentazione deformata o rattrappita della complessa realtà. Ma, ripeto, riferiti a chi è al termine del lavoro scientifico, rilievi del genere fanno parte di un giudizio critico cui egli è naturalmente esposto. E i giudizi critici sono alla fine preferibili all'indifferenza. Pericolosa, invece, appare la precostituzione di sentieri di indagine obbligati per coloro che siano ai primi passi della ricerca. Tendenze del genere esistono. E considero parte di qualche significato del mio personale impegno l'avervi reagito, non di certo per motivi personali. E ciò sia con l'affermare che coloro che lavorano nel campo dell'indagine economica non vanno distolti dal tipo di ricerca, storico-istituzionale, formale o empirico, in cui ritengano di potersi esprimere più compiutamente (1). Sia con il rilevare che, nelle condizioni presenti di mancanza di un paradigma egemone, il fatto che coloro cui spetta un'azione di guida di frequente considerino e presentino come egemone il paradigma da essi preferito, non può che portare a conseguenze frustranti per chi si avvia alla ricerca. Infondere la consapevolezza che l'indagine economica è soggetta all'assillo di un continuo ipensamento critico e di un puntuale riscontro con i fatti mutevoli della realtà storica può forse portare a un problematicismo sistematico. Ma, per mio conto, sono stato formato nella concezione che la scienza progredisce per vie sempre nuove ed è illusione credere che si possa riaprire una vecchia strada, o che su di essa si possa fare molto cammino (2). Dichiarare, peraltro, questo mio personale ingrediente formativo, significa bensì trasmetterlo per quanto mi riguarda, ma senza alcun modo imporlo, ammesso pure ne avessi l'autorevolezza. Ripetutamente mi sono richiamato alla sensata considerazione di P.Samuelson secondo la quale, nelle condizioni contemporanee, l'esperienza ci ha insegnato in modo severo che l'eclettismo nella scienza economica, non è tanto qualcosa che si desideri, quanto una necessità (3). 3. Ciò sembra escludere da solo che la funzione ispiratrice attribuita ad alcuni punti fermi si identifichi con l'adesione a una ortodossia: con l'incapacità di cambiar pelle, come si direbbe con i termini di Keynes. L'apporto del pensiero keynesiano riceve indubbiamente un rilievo prevalente nei saggi qui riuniti: ma come rivoluzione intellettuale incompiuta e non come condensato di precetti suscettibili di essere adoperati senza tener conto del modificarsi delle vicende storiche. Il problema essenziale consiste nell'intendersi su quale sia l'apporto teorico fondamentale della 'Teoria Generale': se esso, come appare plausibile, va individuato nello svolgersi dell'economia in un tempo storico nel corso del quale la moneta è considerata un'argine contro l'incertezza, queste intuizioni di base non trovano un limite nel fatto che la 'Teoria Generale', presupponga una economia chiusa e prescinda dal progresso tecnico. Non è inconsueta l'affermazione che, a motivo di queste limitazioni, l'apporto dell'analisi keynesiana non sarebbe in grado di interpretare i problemi del nostro tempo e di suggerire politiche idonee a farvi fronte. Il fatto stesso, tuttavia, che autori profondamente addentro al processo formativo della 'Teoria Generale', come J.E.Meade, propongano un nuovo approccio keynesiano al pieno impiego (4) sembra attestare che si può continuare ad edificare su basi keynesiane, con i necessari adattamenti, anziché incorrere in affrettati ripudi. Nel pensiero keynesiano non vi è soltanto un apparato di analisi, un insieme di suggerimenti per la politica economica (adattabili nel tempo e che Keynes stesso modificò al delinearsi della seconda guerra mondiale), ma una visione del mondo che affida alla responsabilità dell'uomo le possibilità del miglioramento sociale. In un mondo internazionalmente comunicante, queste responsabilità si accrescono ed è forte la tentazione a riproporre il lasciar fare come il metodo più idoneo per raggiungere le soluzioni meno insoddisfacenti. Ci si chiede, a voler esemplificare, perché si debbano porre ostacoli al libero flusso dei capitali e perché esistano ancora limitazioni valutarie alla esportazione dei capitali, quando il risparmiatore lo desideri in vista delle sue libere scelte di portafoglio. Le nuove insorgenze contro le regolamentazioni riecheggiano antiche lamentele. Allorché venne realizzata nel nostro paese la prima esperienza del controllo dei cambi ad iniziativa di Francesco Nitti, un economista a torto dimenticato - Umberto Ricci - scrisse una ironica tragedia in tre atti nella quale si raffigurava Nitti come un personaggio che, con una reticella, cercava di afferrare una farfalla imprendibile. Quando fu realizzato il Mercato comune europeo, Marco Fanno lesse una relazione presso l'Accademia nazionale dei lincei nella quale forniva una rappresentazione accuratissima - e presaga - delle conseguenze anomale e perturbatrici dei liberi movimenti di capitali nell'ambito comunitario (5). E' un peccato che l'evocazione dei grandi nomi del passato sia selettiva (Einaudi essendone la massima vittima) e tenda ad avvalorare determinati giudizi di valore, anziché sottolinearne la coesistenza dialettica. Poiché ho cercato di recuperare anche gli apporti dimenticati, sono consapevole che il peso della memoria grava fortemente su questi scritti: ma, come ha osservato un poeta, le nuvole della sua polvere non c'è vento che le porti via. Note : (1) Cfr. Introduzione a 'Autocritica dell'economista', Bari, Laterza, 1975; (2) Cfr. G. Del Vecchio, 'La costruzione scientifica della dinamica economica' Giornale degli economisti, settembre-ottobre 1952; (3) P.A.Samuelson, 'Lessons from the current economic expansion', American Economic Review, maggio 1974, p.77;
In difesa del Welfare State : saggi di politica economica / Federico Caffè Caffè, Federico Torino Rosenberg & Sellier 1986 : Indice : Introduzione, p.7; 1. 'La fine del welfare state come riedizione del crollismo', p.13; 2.'Il neoliberismo contemporaneo e l'eredità intellettuale di Francesco Ferrara', p.25; 3.'Intervento pubblico e realtà economica', p.39; 4. 'La problematica degli elevati tassi di interesse 'reali'', p.55; 5.'Il tempo dell'economia "usuraia"', p.67; 6. 'Vecchio e nuovo protezionismo nel quadro del conflitto tra gli strumenti della politica economica', p.77; 7. 'Diritto ed economia : un difficile incontro', p.95; 8.'L'eredità intellettuale keynesiana e gli odierni problemi mondiali', p.95 I saggi sono stati pubblicati originariamente: 'La fine del welfare state come riedizione del crollismo', in: 'Scritti in onore di Innocenzo Gasparini', 1982, alle pp. 173-185 ; 'Il neoliberismo contemporaneo e l'eredità intellettuale di Francesco Ferrara', in: 'Rivista internazionale di scienze economiche e commerciali', Vol.32, n.1, 1985, pp.51-61 ; 'Intervento pubblico e realtà economica', in: 'Rassegna economica', n.3, 1984, pp.557-553 ; 'La problematica degli elevati tassi di interessen"reali"', in 'Politica ed economia', n.2 1983, pp. 49-53 'Il tempo dell'economia usuraia', in: 'La Comunità internazionale', Quarto trimestre, 1984, pp.551-555 pp. ; 'Vecchio e nuovo protezionismo nel quadro del conflitto tra gli strumenti della politica economica', in: 'Moneta ed economia internazionale', 1985, pp.121-126 ; 'Diritto ed economia: un difficile incontro', in 'Giurisprudenza Commerciale. Società e fallimento', parte prima, genn.-febb. 1982, pp. 5-12 Si riproduce il testo della densa e meditata Introduzione, come una matura sintesi del pensiero economico, sociale e civile di F.Caffè: 1. L'insistere su una politica economica che non escluda, tra gli strumenti da essa utilizzabili, i controlli condizionatori delle scelte individuali; che consideri irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza che si riassumono abitualmente nell'espressione dello Stato garante del benessere sociale; che affidi all'intervento pubblico una funzione fondamentale nella condotta economica; può dare l'impressione di qualcosa di datato e di una inclinazione al ripetitivo e al predicatorio, tollerabile per sopportazione più che per convincimento. Tuttavia, non è improbabile che questi punti fermi di una concezione economico-sociale progressista, anche se oggi sembrino essere eco sbiadita di un pensiero attardato, si ripresentino - in realtà si stiano ripresentando - sotto aspetti diversi: come critica ad un profitto considerato avulso da preoccupazioni di indole sociale; come attività di volontariato ispirata da un'etica radicata nei valori della trascendenza; come rifiuto di un individualismo spinto a tal punto da perdere ogni contatto con una economia al servizio dell'uomo. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere che, quando questa mutazione si realizzasse (come tutto sembra indicare) non sarebbero certo le differenze nelle ispirazioni di fondo a impedirmi di ritenermene appagato. Le condizioni di chi è privo di lavoro, di assistenza, di prospettive di elevarsi sono troppo gravi per poter astenersi dal riconoscimento dovuto a chi si faccia carico dei loro problemi, anche se secondo linee di pensiero che siano diverse da quelle dei principi ispiratori del riformismo laico. Ma questo avrà indubbiamente perduto un'occasione; il che del resto non gli è inconsueto. Nella misura in cui le considerazioni che precedono abbiano un minimo di validità, le pagine di questi saggi potranno indicare che, con le limitate capacità telescopiche della nostra professione, la fedeltà ai punti fermi risulta in definitiva più affidabile dell'indulgere alle mode. 2. I termini adoperati richiedono immediate precisazioni. Né la irrinunciabilità ad alcuni punti fermi è da intendere come una acritica espressione di una ortodossia; né l'inclinazione alle mode contiene una valutazione riduttiva della loro funzione nello svolgimento del pensiero economico. Cominciando da questo secondo aspetto, ho sempre conservata viva memoria di un'osservazione, apparentemente ironica nel tono ma formativa nella sostanza, con la quale Dennis H.Robertson rilevava che si concorre al progresso della scienza anche con il tempo dedicato all'esame degli effetti di innumerevoli tangenti e intersezioni. Quello che egli annotava, con riferimento alla letteratura sulla concorrenza imperfetta e più in generale delle forme di mercato, in gran voga negli anni trenta, potrebbe oggi ripetersi per l'uso intenso di indagini di tipo quantitativo, sia che esse mirino a verificare un'ipotesi di partenza, sia che talvolta riproducano, consapevolmente o meno, la tendenza ben nota a una misurazione senza teoria. Non vi è nulla da obiettare all'indirizzo prescelto per le proprie indagini, quando questo non diventi un letto di Procuste cui assoggettare gli altri, un criterio valutativo discriminante dell'altrui lavoro scientifico. Riferito a coloro la cui giornata sia giunta a sera, l'addebito di non aver avvalorato le proprie affermazioni - o prediche - con adeguate analisi, presumibilmente di tipo quantitativo, induce a replicare che si possono affermare cose sensate con plausibili ragionamenti di logica intuitiva, mentre si possono avvalorare politiche immobilistiche con sofisticati calcoli di propensioni ed indici di ogni natura. Questo vale per alcune mie critiche al vincolo esterno del nostro paese che non ritengo essere meramente predicatorie, per il solo fatto di non essere inquadrate in contro-analisi che, quanto più pretendano di essere onniconprensive, tanto più non possono che fornire una rappresentazione deformata o rattrappita della complessa realtà. Ma, ripeto, riferiti a chi è al termine del lavoro scientifico, rilievi del genere fanno parte di un giudizio critico cui egli è naturalmente esposto. E i giudizi critici sono alla fine preferibili all'indifferenza. Pericolosa, invece, appare la precostituzione di sentieri di indagine obbligati per coloro che siano ai primi passi della ricerca. Tendenze del genere esistono. E considero parte di qualche significato del mio personale impegno l'avervi reagito, non di certo per motivi personali. E ciò sia con l'affermare che coloro che lavorano nel campo dell'indagine economica non vanno distolti dal tipo di ricerca, storico-istituzionale, formale o empirico, in cui ritengano di potersi esprimere più compiutamente (1). Sia con il rilevare che, nelle condizioni presenti di mancanza di un paradigma egemone, il fatto che coloro cui spetta un'azione di guida di frequente considerino e presentino come egemone il paradigma da essi preferito, non può che portare a conseguenze frustranti per chi si avvia alla ricerca. Infondere la consapevolezza che l'indagine economica è soggetta all'assillo di un continuo ipensamento critico e di un puntuale riscontro con i fatti mutevoli della realtà storica può forse portare a un problematicismo sistematico. Ma, per mio conto, sono stato formato nella concezione che la scienza progredisce per vie sempre nuove ed è illusione credere che si possa riaprire una vecchia strada, o che su di essa si possa fare molto cammino (2). Dichiarare, peraltro, questo mio personale ingrediente formativo, significa bensì trasmetterlo per quanto mi riguarda, ma senza alcun modo imporlo, ammesso pure ne avessi l'autorevolezza. Ripetutamente mi sono richiamato alla sensata considerazione di P.Samuelson secondo la quale, nelle condizioni contemporanee, l'esperienza ci ha insegnato in modo severo che l'eclettismo nella scienza economica, non è tanto qualcosa che si desideri, quanto una necessità (3). 3. Ciò sembra escludere da solo che la funzione ispiratrice attribuita ad alcuni punti fermi si identifichi con l'adesione a una ortodossia: con l'incapacità di cambiar pelle, come si direbbe con i termini di Keynes. L'apporto del pensiero keynesiano riceve indubbiamente un rilievo prevalente nei saggi qui riuniti: ma come rivoluzione intellettuale incompiuta e non come condensato di precetti suscettibili di essere adoperati senza tener conto del modificarsi delle vicende storiche. Il problema essenziale consiste nell'intendersi su quale sia l'apporto teorico fondamentale della 'Teoria Generale': se esso, come appare plausibile, va individuato nello svolgersi dell'economia in un tempo storico nel corso del quale la moneta è considerata un'argine contro l'incertezza, queste intuizioni di base non trovano un limite nel fatto che la 'Teoria Generale', presupponga una economia chiusa e prescinda dal progresso tecnico. Non è inconsueta l'affermazione che, a motivo di queste limitazioni, l'apporto dell'analisi keynesiana non sarebbe in grado di interpretare i problemi del nostro tempo e di suggerire politiche idonee a farvi fronte. Il fatto stesso, tuttavia, che autori profondamente addentro al processo formativo della 'Teoria Generale', come J.E.Meade, propongano un nuovo approccio keynesiano al pieno impiego (4) sembra attestare che si può continuare ad edificare su basi keynesiane, con i necessari adattamenti, anziché incorrere in affrettati ripudi. Nel pensiero keynesiano non vi è soltanto un apparato di analisi, un insieme di suggerimenti per la politica economica (adattabili nel tempo e che Keynes stesso modificò al delinearsi della seconda guerra mondiale), ma una visione del mondo che affida alla responsabilità dell'uomo le possibilità del miglioramento sociale. In un mondo internazionalmente comunicante, queste responsabilità si accrescono ed è forte la tentazione a riproporre il lasciar fare come il metodo più idoneo per raggiungere le soluzioni meno insoddisfacenti. Ci si chiede, a voler esemplificare, perché si debbano porre ostacoli al libero flusso dei capitali e perché esistano ancora limitazioni valutarie alla esportazione dei capitali, quando il risparmiatore lo desideri in vista delle sue libere scelte di portafoglio. Le nuove insorgenze contro le regolamentazioni riecheggiano antiche lamentele. Allorché venne realizzata nel nostro paese la prima esperienza del controllo dei cambi ad iniziativa di Francesco Nitti, un economista a torto dimenticato - Umberto Ricci - scrisse una ironica tragedia in tre atti nella quale si raffigurava Nitti come un personaggio che, con una reticella, cercava di afferrare una farfalla imprendibile. Quando fu realizzato il Mercato comune europeo, Marco Fanno lesse una relazione presso l'Accademia nazionale dei lincei nella quale forniva una rappresentazione accuratissima - e presaga - delle conseguenze anomale e perturbatrici dei liberi movimenti di capitali nell'ambito comunitario (5). E' un peccato che l'evocazione dei grandi nomi del passato sia selettiva (Einaudi essendone la massima vittima) e tenda ad avvalorare determinati giudizi di valore, anziché sottolinearne la coesistenza dialettica. Poiché ho cercato di recuperare anche gli apporti dimenticati, sono consapevole che il peso della memoria grava fortemente su questi scritti: ma, come ha osservato un poeta, le nuvole della sua polvere non c'è vento che le porti via. Note : (1) Cfr. Introduzione a 'Autocritica dell'economista', Bari, Laterza, 1975; (2) Cfr. G. Del Vecchio, 'La costruzione scientifica della dinamica economica' Giornale degli economisti, settembre-ottobre 1952; (3) P.A.Samuelson, 'Lessons from the current economic expansion', American Economic Review, maggio 1974, p.77; D 330.1 Sistemi, scuole, teorie D 330.126 Economie miste (include l'interventismo in materia economica, le partecipazioni statali, i sistemi dello stato sociale D 330.155 6 Scuola dell'economia del benessere D 330.156 Kynesismo J A12 Relazione dell'economia con altre discipline J B31 Singoli autori [Storia del pensiero economico] J F02 Ordine economico internazionale, integrazione economica e relazioni economiche internazionali J H11 Politica economica J H11.1 Welfare state F ECONOMIA DEL BENESSARE F POLITICA ECONOMICA F POLITICA SOCIALE diritto ed economia economia internazionale economia keynesiana intervento pubblico Welfare state ITA TS Testo a stampa Raccolta di scritti In difesa del Welfare State

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